Per quanto concerne gli aspetti pratici relativi al recepimento delle citate norme comunitarie in Italia, in base alla prassi attuale, ne deriva quanto segue:

– che le società comunitarie, costituite in altro Stato membro della Comunità europea, sono sempre disciplinate dalla legge dello Stato in cui le stesse sono state costituite, anche se hanno o trasferiscono in Italia la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale dell’impresa;

– che vengono disapplicate, in tali ipotesi, le disposizioni contenute nell’art. 25, primo comma, ultima parte, e terzo comma, nonché l’art. 13, nella misura in cui accetta il rinvio all’ordinamento dello Stato in cui si trova la sede reale della società.

Rimane, invece, pienamente applicabile il criterio della sede effettiva, in tutti i casi suindicati, relativamente alle società extracomunitarie, nonché alle società comunitarie che non abbiano, però, all’interno della Comunità la sede effettiva o l’oggetto principale dell’impresa. È evidente, infatti, che le norme del Trattato CE non possono applicarsi a tali ipotesi, né a tale risultato può giungersi in virtù del riferimento ai “principi” dell’ordinamento comunitario, cui rinvia il nuovo art. 2507 del codice civile (rinvio, peraltro, limitato all’interpretazione del capo XI del codice civile relativo alle società costituite all’estero, e non esteso all’intera materia internazionalprivatistica).

Rimane, inoltre, applicabile (arg. ex nuovo art. 2508, comma 3, c.c.) la disciplina statale del luogo in cui l’impresa è effettivamente esercitata, relativamente alle disposizioni imperative (di applicazione necessaria) relative all’esercizio dell’attività economica (si pensi alle norme sulla pubblicità commerciale, sulla tenuta delle scritture contabili, alla disciplina in materia di lavoro subordinato, alle disposizioni che prescrivono autorizzazioni per specifiche attività). Tra le norme di applicazione necessaria, come sopra descritte, possono classificarsi tra l’altro quelle che dispongono oneri di forma ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese: si pensi alle norme italiane che prescrivono la forma dell’atto pubblico, o della scrittura privata autenticata, ai fini della suddetta iscrizione, e che – trattandosi di atto formato all’estero – richiedono il previo deposito negli atti di un notaio o di un archivio notarile italiano.

Conclusioni

È possibile, a questa stregua, individuare un ordinamento comunitario (come potrebbe essere quello inglese) che, ad esempio, non prescriva requisiti minimi di sottoscrizione del capitale sociale, e quindi, dopo aver ivi costituito una società di capitali, operare con la medesima esclusivamente in Italia.

 
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