
Interpretazioni normative
Dall’esame delle norme del Trattato sulla libertà di stabilimento, e dell’interpretazione giurisprudenziale che ne è stata data, è possibile trarre alcune importanti indicazioni circa il relativo ambito di applicazione.
In primo luogo, l’art. 48, comma 1, nell’individuare i soggetti attivi del diritto di stabilimento si riferisce alle società che:
a) – sono costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro;
b) – hanno la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità.
Le due condizioni suindicate devono ricorrere cumulativamente, con la conseguenza che, da un lato, sono escluse dal diritto di stabilimento le società costituite in conformità alla legge di uno Stato extracomunitario; dall’altro, sono altresì escluse le società che, pur costituite in uno Stato membro, abbiano sia la propria sede legale, che la sede effettiva e l’oggetto principale dell’attività al di fuori della Comunità europea. In altri termini – come del resto chiarito dal Programma generale del 1961 per l’abolizione delle restrizioni alla libertà di stabilimento – godono della libertà di stabilimento solo le società che abbiano un legame effettivo e continuativo con almeno uno degli Stati membri della Comunità.
In secondo luogo, dall’art. 43 del Trattato è possibile enucleare un diritto di stabilimento primario (diritto alla costituzione e gestione di imprese ed in particolare di società, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini), ed un diritto di stabilimento secondario (diritto all’apertura di agenzie, succursali o filiali). Superata – con la sentenza Überseering – l’incertezza in ordine all’effettiva portata della sentenza Centros (che formalmente appare limitarsi alla problematica dell’istituzione di sedi secondarie), oggi può senz’altro affermarsi che le disposizioni della legge dello Stato membro nel cui territorio una società, costituita in altro Stato membro, collochi sia una succursale che la sede principale dell’attività, non devono in alcun modo ostacolare la libertà di stabilimento, e non possono disconoscere né la personalità e capacità giuridica della società, né la sua organizzazione, quale disciplinata dalla legge dello Stato di provenienza.
Parimenti, e stavolta dal punto di vista dello Stato di provenienza della società, sono da considerarsi illegittime le restrizioni, di natura sostanziale o fiscale, che in qualsiasi modo limitino o comprimano il diritto della società a stabilirsi in un altro Stato membro; ferma soltanto – nell’attuale stadio di evoluzione del diritto comunitario e dell’armonizzazione dei diritti nazionali – la prerogativa dello Stato di origine della società di far venir meno la personalità giuridica di diritto interno, a seguito del trasferimento della sede sociale all’estero.
Ovviamente, la piena attuazione dei principi suesposti si scontra con l’imperfetta armonizzazione dei diritti nazionali, che talvolta (come è, ad esempio, il caso della Germania) non disciplinano, anzi disconoscono il fenomeno del trasferimento della sede sociale da o all’estero. Tale circostanza può, in concreto, impedire l’effettivo esercizio della libertà di stabilimento, quantomeno nella forma del trasferimento della sede in altro Stato membro, e proprio in funzione di tali ipotesi si giustifica la disposizione dell’art. 293 del Trattato, che rimanda a negoziati tra gli Stati membri l’effettivo riconoscimento delle società, il mantenimento della personalità giuridica in caso di trasferimento della sede da uno Stato all’altro, e la possibilità di fusione di società soggette a legislazioni nazionali diverse.
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